Apprendo ora della morte di Lorenzo Pinto. Lorenzo era un ferroviere, un macchinista. Ed era il fratello di Luigi, una delle otto vittime della strage di Piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974.
Per oltre 10 anni ho organizzato a Roma una manifestazione denominata "Luoghi della memoria": il 2 novembre di ogni anno, dal 1994 al 2006. Una commemorazione laica dei defunti, in vari luoghi della città. Promossa dal Teatro di Roma, e finanziata dall'Assessorato alla Cultura del Comune.
In occasione della manifestazione si pubblicava un libretto di un centinaio di pagine che veniva dato gratuitamente al pubblico: conteneva i testi di tutte le letture della giornata.
Nel 2002 lessi su La Repubblica la lettera di Lorenzo Pinto che riporto qui di seguito.
Cercai di rintracciarlo per chiedergli il permesso di pubblicare questa lettera nel nostro libretto e per invitarlo ad uno degli eventi: lo spettacolo "Il mio nome è Caino" testo di Claudio Fava e regia di Ninni Bruschetta, presentato all'aperto davanti alla Chiesa di San Giorgio al Velabro (oggetto di un attentato mafioso nel luglio 1993).
Alla fine riuscii a parlargli e acconsentì alla pubblicazione.
Il 2 novembre di quell'anno, alle 18.00, arrivò sul luogo dello spettacolo, accompagnato da una signora che conoscevo bene. I casi della vita! Lei era la direttrice dell'asilo nido che aveva frequentato mio figlio. Lui era composto, attento, sereno, sensibile. Parlammo a lungo. Si intrattenne con il regista, gli attori, i musicisti.
Condivemmo l'idea che non bisogna mai fermarsi. Per parte mia gli dissi che credevo (e credo) che il teatro sia un buon mezzo per comunicare, denunciare, condividere.
Leggo ora della sua morte. Mi addolora. Aveva la mia età.
Sabina de Tommasi
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I bambini non nati di mio fratello Luigi
"Gino guarda Lorenzo, Gino guarda Lorenzo", - ...così prega la madre di Gino, oramai settantatreenne e si raccomanda al Dio buono degli uomini di proteggere le persone care rimaste. Gino, così chiamiamo Luigi nel sud dell'Italia, non fu poi molto fortunato. Ritornò in una cassa di mogano, avvolta in una bandiera tricolore da un lato e dall'altra con una bandiera rossa. Morì perché era di spalle a un cestino portarifiuti imbottito di tritolo, fatto esplodere la mattina del 28 maggio del 1974 a Brescia, in piazza della Loggia. Gino era sposato da otto mesi, con una donna dai capelli d'oro, una donna del Nord. Io ero poco più di un ragazzo e sognavo Di Vittorio al posto di Robin Hood - "Di Vittorio conosce il vocabolario italiano a memoria!", dicevano i vecchi della sezione comunista.
Tre processi, quattro istruttorie, la quinta è in corso, 28 anni sono trascorsi, nessuna verità giudiziaria. A volte mi chiedo come possono vivere o come hanno potuto vivere questi personaggi. Come hanno potuto accarezzare la fronte dei propri figli, baciato la donna amata, sognato se mai un mondo migliore?
Io non parlo e non chiedo la giustizia dei tribunali. Stando alle pronunce dei tribunali, Mussolini non ebbe parte nell'omicidio di Matteotti, Trotzkji si unì a Hitler contro l'Urss, Sacco e Vanzetti erano colpevoli, Persano fu l'unico responsabile di Lissa, Anna Bolena meritò la decapitazione perché adultera e Giovanna d'Arco il rogo perché vestiva abiti maschili. In sede storica la decisione dei tribunali è stata spesso un buon viatico per la tesi opposta. Per me, giustizia è la consapevolezza degli uomini di che cosa è accaduto.
Da molto tempo le stragi non sono più raccontate; commemorate, sì, ma ridotte a eventi lapidari. La memoria è duratura se è un racconto ripetuto: racconto, cioè svolgimento narrativo e non rappresentazione di un evento isolato; ripetuto, in quanto abbia un senso al mutare del contesto e delle generazioni.
Io, adesso, non sono più un ragazzo che sogna "Di Vittorio al posto di Robin Hood", sogno come sarebbe stato mio fratello Gino, i suoi occhi ridenti, e se fossi stato lo zio dei suoi figli avrei cantato loro la ninna nanna della mia terra. Non è così.
Dovremo avere un giorno della memoria, come per le vittime dei campi di sterminio, dedicato ai caduti per stragi, terrorismo, mafia. Un giorno dell'anno, rosso sul calendario.
di Lorenzo Pinto
lettera pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 29 maggio 2002