Piazza Esedra otto e mezza del mattino siamo l'Onda in rivolta.
Centinaia di studenti delle scuole superiori romane si affollano attendendo la partenza del corteo.
Per molti di noi è il primo corteo della nostra vita, la nostra prima iniziativa impegnata.
Ogni scuola intona uno slogan, uno diverso.
Mi ritrovo schiacciato come una sardina.
Andiamo urlando la nostra ira, la nostra opinione, la nostra speranza al cielo di Roma.
Siamo in tanti, veniamo da ambienti diversi tutti (o quasi ), con un obbiettivo in comune.
Uno slogan dice : “né rossi, né neri, ma liberi pensieri”.
Non ci sono politici, né sigle sindacali, né bandiere, ci siamo solo noi studenti liceali.
Percorriamo via Cavour tra l'euforia di stare tutti insieme e l'angoscia per un futuro che si prospetta duro.
Non siamo facinorosi, come ci chiamano quelli del governo.
Non siamo bamboccioni, siamo ragazzi che studiano, si impegnano, siamo una risorsa per il nostro paese.
Dai cornicioni di qualche balcone la gente si affaccia giù, la chiamiamo a partecipare, la nostra rabbia euforica contagia.
Non abbiamo una forma precisa, siamo una massa distorta, ma siamo.
Esistiamo.
Ragioniamo con i nostri liberi pensieri, ergo siamo.
Ci staranno togliendo tutto ma non demordiamo, non ci pieghiamo, non ci spezziamo.
Resistiamo.
Siamo una forza in continua espansione.
Arriva mercoledì 29 ottobre, la rissa.
Ragazzi di Blocco studentesco attaccano ragazzi dei centri sociali.
E come al solito la violenza cancella la realtà.
Lo scontro sminuisce la nostra protesta, la nostra angoscia, la nostra paura.
Il giorno dopo ci attende la manifestazione del 30, quella della Cgil.
Sfiliamo per le piazze pacifici e incazzati.
Dal giorno prima la riforma Gelmini è legge.
Ci hanno distrutto la scuola.
Ci hanno rubato il futuro.
Ci hanno privato di risorse.
E l'Onda cade sotto il peso dell'angoscia e della disperazione.
E l' Onda muore schiacciata da una cupa realtà che aleggia come un avvoltoio sopra le nostre teste schiacciate dalla riforma.
Ma nonostante tutto noi non ci arrendiamo.
Perché noi crediamo.
Davide Santoro, letto il 21 aprile 2011 a TBQ durante la serata di lettura condivisa Storie minime
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