15.6.12

PER UN TEATRO CHE C'E' (e deve continuare ad esserci), di Romano Meuti

L'aquilone corre e vola, vento.

Stupìto guardo, sono ancora bambino,
l'aquilone è alto verso il cielo,
si trasforma in oro, sole,
lo seguo con lo sguardo,
incappo in una nuvola bianca,
gonfia, astratta: Magritte,
uomini uguali, Charlot, Ridolini...
una luce bianca nel buio della notte.

Teatro di periferia,
vuoto il palcoscenico mi appare,
un uomo solo legge in piedi, assorto,
la sala guarda e ascolta, applaude,
partecipa felice di quel niente ricco,
poltroncine rosse, Teatro Quarticciolo.
Un regalo d'oro questo luogo – penso -
politicanti stupidi dietro le quinte
e un popolo che soffre la loro vanità,
scena di una tragedia solitaria: Magritte,
uomini stupidi che vanno verso il cielo,
denaro attorno alla cornice.

Quarticciolo, borgata di domani,
ieri gobba, partigiana, sciatta,
puttana e proletaria, fresca
tra prati, montarozzi e case,
grida e povertà.
Ieri comunista, oggi ruffiana,
unico modo per conquistare il vello,
contendere il primato,
mettersi in gioco.

Ti ho visto crescere fra stenti,
crescere però,
ora ti impoverisci banalmente,
per un'oscura trama imprevidente,
ti vedo scomparire
e allungo il braccio per trattenerti,
seguo il movimento,
politicanti stupidi sono attorno.

Cultura e qualità nate da poco
e già pronte a morire,
un lusso, un'illusione,
inganno e sprazzo.
Che storia è questa?!
Un giardino, alberi e vigore,
giovani intelligenti e laboriosi,
pazienti e vivi,
donne e uomini attenti, affascinati,
e d'improvviso
il baratro della disattenzione.